Lei non è mia ma io sono sua

La prima cosa che ho imparato dall’amore che provo per Sophie è che lei non è mia figlia. Ma io sono sua mamma.
A parte l’ovvietà del fatto che un figlio non è proprietà personale, impostare così il rapporto con un figlio credo che abbia tre grandi conseguenze. 

Innanzitutto, ti ricorda che, fin quando non raggiunge l’autonomia, tu sei a sua disposizione. Punto. Tu, tutto il tuo essere, ha il compito di aiutare il nuovo arrivato ad ambientarsi e sopravvivere. Non ci sono vie di scampo. Te l’hanno assegnato e lui ci conta. Tu lo ami e sei istintivamente sua. Non c’è sonno, fame, stanchezza, nervosismo, claustrofobia, frustrazione, rinuncia, impegno, che tenga. Non gliene importa niente se sei stanca perchè è te che conosce e da te dipende la sua sopravvivenza. Ci chiede di essere mature e sacrificarci per lui senza tante lagne. Cosa non semplicissima…

L’altro significato è che tu sei a sua disposizione per realizzare sé stesso, non te. Devi educarlo cercando di cogliere le sue unicità ed attitudini e aiutarlo a riconoscerle e svilupparle. Educare viene dal latino e-ducere, portare fuori, non mettere dentro. Non deve assorbire e fare sue le tue aspettative o le tue frustrazioni o le tue fissazioni che non metti in dubbio per debolezza. Amore è esserci quando ha bisogno, non quando hai bisogno tu. E anche questa è difficile.

Ma l’ultimo conseguenza è la buona notizia: in quanto Sua mamma, tu sei il Suo Grande Amore. E ne sarai destinataria per tutta la vita … magari con una breve pausa durante l’adolescenza… .

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